Per quasi tredici anni mi sono illuso di poter dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 secondo cui la DC non è mai stata giuridicamente sciolta, contribuendo all’elezione di Gianni Fontana prima e di Renato Grassi poi, alla segreteria nazionale del partito, grazie all’auto convocazione del consiglio nazionale storico. E’ prevalsa la logica della diaspora, col triste risultato di contare una decina di sedicenti democrazie cristiane tutte impegnate a farsi la guerra nei media e in tribunale.
Anche nel nostro piccolo è confermata la regola italica secondo cui: “tutti vorrebbero coordinare, ma nessuno vuol essere coordinato”. Pensare di mettere insieme galli e galletti del vasto pollaio di aspiranti leader DC sulla base di accordi romani si è rivelata una fatica dura e praticamente inutile.
Ci ritenta Gianfranco Rotondi, dopo aver vissuto diverse esperienze politico partitiche, sempre nel segno della sua sopravvivenza: prima con Berlusconi e, adesso, con la Meloni. E’ certamente un abile navigatore (“il miglior fico del bigoncio”), sempre illuso di poter trasformare la destra, anche la più estrema, nella nuova DC di cui si sente il naturale fisiologico traghettatore.
Anche il suo ultimo appello a diversi capi e capetti romani di area DC a deporre l’ascia di guerra per ritrovarsi uniti in un unico partito a sostegno di Giorgia Meloni, potrà anche far breccia sugli opportunisti di turno, sempre pronti a salvaguardare qualche posizione personale, ma non potrà favorire quel processo di ricomposizione dell’area popolare (democratica, popolare, cristiano sociale), che può realizzarsi solo per un progetto di centro alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità.
Insomma, a mio parere, Rotondi commette a destra lo stesso errore di altri amici che vorrebbero una scelta preferenziale a sinistra. Decisione che solo un congresso potrà assumere come che avremo ricomposto al centro la nostra area.
Prioritario resta battersi per una legge elettorale di tipo proporzionale da perseguire con una legge di iniziativa popolare, oggi favorita dalle nuove modalità di raccolta firme attraverso la piattaforma sperimentata per il referendum sulla cittadinanza.
Preso atto dell’impossibilità di procedere col metodo top down (dall’alto in basso), in grado di soddisfare solo le ambizioni dei pochi capi romani, a me pare che bisogna ripartire dalla base per tentare di superare la lunga e dolorosa stagione della diaspora.
20 regioni italiane, 80 province e 14 città metropolitane con 7914 Comuni (alla data del 14 ottobre 2019); questa è la realtà politico amministrativa italiana e proprio dai comuni e dalle province bisognerà ripartire, attivando dei comitati di partecipazione democratica tra le diverse componenti di area cattolica, democratico cristiana e popolare, disponibili a dialogare con l’obiettivo di ricercare l’unità a livello territoriale nelle sedi istituzionale proprie, nelle quali testimoniare la comunanza di interessi e valori ispirati dalla dottrina sociale cristiana.
Dovremo puntare a rieleggere in ogni consiglio comunale e regionale alcuni nostri amici, ricostituendo alla base quel tessuto politico amministrativo che è stata la forza della DC negli anni della sua indiscussa egemonia politica.
Agli amici dirigenti dei diversi partitini, movimenti e gruppi nazionali, il compito di sollecitare i loro riferimenti locali ad assumere questo impegno di partecipazione, e a ciascuno di noi quello di favorire il dialogo e il confronto sui principali temi di interesse locale e globale.
Sarà un processo né facile né breve, ma l’unico in grado di far rinascere un’organizzazione politica di ispirazione democratico cristiana nei tempi nuovi e difficili che ci è dato di vivere e capace, altresì, di far emergere dalla base una nuova classe dirigente alternativa al funambolismo interessato dei soliti eterni capi e capetti “capaci, capacissimi, capaci di tutto”.
Ettore Bonalberti