Siamo ancora presi da un sentimento di fervido stupore, quando man mano emergono i dati di questa prima tornata elettorale in Sicilia. Essi ci confermano la grande affermazione della Democrazia Cristiana in tutti i territori comunali ove si è votato. Il successo poteva essere ancora più largo, perché in diversi casi si è arrivati a ridosso della soglia minima del 5 per cento. In molti Comuni si è addirittura registrato il sorpasso di Forza Italia e FdI.
A Caltagirone, paese natale di Don Luigi Sturzo, culla della prima forma organizzata del partito dei cattolici, la DC ha raggiunto il 6 per cento. A Giarre quasi il 6 per cento. A Favara si è sfondato il muro del 10 per cento. Un successo impensabile che trova la sua scaturiggine nel lavoro attento e meticoloso del commissario regionale, Totò Cuffaro, che ha fatto leva e saputo dare valore aggiunto alla formazione di una nuova classe dirigente, competente e credibile.
Non meno pregnante è stato l’aver saputo trovare, nel coerente calibro delle proposte elaborate per venire incontro alle concrete istanze di quei territori comunali, la giusta risposta alle tante inefficienze, inadeguatezze, e, talvolta, ostinate inadempienze di quelle amministrazioni.
E il messaggio degli elettori è stato chiaro ed inequivocabile nel riconoscersi in quel patrimonio di ideali e di valori che non si sono mai resi evanescenti, come invece appaiono essere effimeri e rifrangenti le illusorie e ingannevoli risposte che appagano emozionalità precarie, inadeguate ad assicurare radici salde e durature in grado di dare certezze e fiducia nel futuro.
Ma l’esito va letto anche in controtendenza con un astensionismo che è stato inequivocabilmente il segno più forte, di questa disaffezione al voto. Astensionismo già al limite di ogni livello di guardia, sufficiente ad insidiare, nel profondo, il fondamento stesso della sovranità popolare.
Una ragione in più per riconoscere in questo risultato un significato ancora più lungimirante: l’essere riuscito ad incardinare un coinvolgimento ideale e valoriale di tanti cittadini che avevano smesso di credere nella politica e di avere fiducia nella capacità di essa di dare risposte convergenti con le istanze più profonde che connotano la quotidianità e gli orizzonti che motivano l’agire fiducioso di ciascuna persona e di ogni comunità.
Unico argine alla gravosa scelta di rinunciare al più pregnante dei diritti politici: il voto, fondamento della sovranità popolare. Esso sottende coinvolgimento e partecipazione: qualità che distinguono, da ogni altra forma di governo, un sistema democratico. Per troppi anni si è giocato a lacerare il Paese prevaricando istanze e bisogni dei cittadini a tutto vantaggio di un consenso fazioso e divisivo che ha piegato ogni nostro sentimento di fiducia e di speranza nel costruire un futuro migliore.
E non v'è politologo e autorevole osservatore che non ne riconosca la genesi nel generale scadimento di questa classe politica che ormai naviga dentro una referenzialità' surreale.
Oggi quel patrimonio virtuoso di principi, di ideali e di valori cattolici, popolari e liberali, rimasti per lungo tempo inerti, ha trovato, pur nelle traversie di una ricomposizione lunga e difficile, in questi artefici, infaticabili e pazienti, che non hanno mai smesso di tenere a cuore le sorti del Paese, i continuatori di una visione e di un'idea di futuro, prodigandosi in un lavoro di aggregazione progettuale lungimirante, in coerenza con le istanze più avvertite dei cittadini.
Questa netta affermazione pone la prima pietra di un progetto di grande respiro capace di imprimere un cammino versato ad uno sviluppo più equo e sostenibile e assicurare le condizioni perché si valorizzi il sentimento di laboriosità e di solidarietà nelle comunità e tra i popoli, nel solco di un’idea di Umanesimo solidale, come magistralmente delineato da Papa Francesco.
Ma ci da, anche, la forza di credere che, con il ritorno della Democrazia Cristiana, un altro governo, dei territori e del Paese, è possibile.
Luigi Rapisarda