3. DE GASPERI NEL VENTENNIO FASCISTA TRA L’IMPEGNO NEL PARTITO POPOLARE ITALIANO E LA DIFFICILE ATTESA
Nel 1919 prende ufficialmente forma la volontà dei cattolici di costituire un movimento politico strutturato e che si potesse radicare sul territorio nazionale. Con l’appello ai liberi e forti e la costituzione del Partito Popolare Italiano si segnava una tappa fondamentale per la vita democratica italiana. Alcide De Gasperi, divenuto cittadino italiano a seguito dell’annessione del Trentino all’Italia, partecipa attivamente al rafforzamento e alla costruzione di un sistema autonomo per il Trentino e “anche in occasione dell’Assemblea Costitutiva della sezione trentina del Partito Popolare Italiano (PPI), nell’ottobre del 1919, De Gasperi presenta un ordine del giorno favorevole all’adesione al PPI nazionale, che ruota principalmente attorno alla richiesta per il Trentino delle autonomie locali godute nell’impero Asburgico.”.
Il primo successo alle elezioni nazionali del Partito Popolare Italiano avvenne il 16 novembre 1919 e in quell’occasione gli elettori del Trentino e dell’Alto Adige non furono ancora ammessi al voto in quanto terre da poco passate all’Italia. Dalle pagine de Il nuovo Trentino, De Gasperi plaude al successo e all’auspicio di una nuova forza cattolica con grandi responsabilità; scriveva il 21 novembre: “Il Partito non è che lo strumento; l’elemento direttivo e propulsore rimangono il programma e l’organizzazione cristiano sociale, entrambi superiori al partito … Noi salutiamo quest’alba novella con fede sicura nell’avvenire della nostra nazione. Il partito popolare balza sul ponte nel momento in cui la nava è sconquassata e incomincia a far acqua…. noi professiamo quest’atto di fede innanzi al nuovo partito non solo per il rinnovamento generale ch’esso si propone, ma anche per il suo programma rispetto alle questioni particolari del paese nostro. Il partito popolare è per il decentramento e per le autonomie locali”. Ma sicuramente le elezioni del 1921 vanno ricordate per l’inizio della crisi acclarata dello stato liberale a guida giolittiana e per l’inizio dell’influenza politica dei fascisti nella politica italiana.
De Gasperi entra nel Partito Popolare Italiano - PPI fin dalla sua costituzione e nel 1920 è chiamato a far parte del Consiglio Nazionale, dove avrà modo di confrontarsi oltre che con il fondatore e anima politica Don Sturzo, con molti politici e militanti di alto profilo. Alle prime elezioni del 1921, che vedranno anche il Trentino partecipare, viene eletto deputato del PPI e nominato capogruppo alla Camera.
Il suo lavoro politico si incentra sulle tematiche stringenti italiane e in particolare sul necessario riequilibrio tra le forze imprenditoriali e quelle proletarie evitando la deriva sindacalista estremista che in quel periodo puntava a radicalizzare il pensiero classista e non cooperativo.
De Gasperi, nelle commissioni e nei rapporti col Governo, porta soprattutto la sua esperienza di uomo di confine per promuovere quel decisivo allontanamento dallo statalismo centralista a favore di una forte autonomia delle amministrazioni locali, le sole capaci di poter gestire il territorio rurale e le città in modo più proficuo alle esigenze delle singole comunità.
Queste sue posizioni avevano trovato parziale sostegno e appoggio in parlamento e nelle commissioni deputate a valutare il processo legislativo in atto, però il vento fascista che stava prendendo forza annichilì queste aspirazioni essendo in netto contrasto con l’animo patriottico che lo alimentava.
Il dilagare della violenza squadrista fascista, accompagnato dalla crisi economica e dalla debole forza del movimento operaio, determinò un sensibile mutamento delle forze in gioco e delle alleanze all’interno del Parlamento italiano. Se infatti fino alla metà del 1920 la spinta verso sinistra rimaneva la linea principale del Governo con importanti aperture al mondo operaio, dal febbraio 1921 si manifestò uno spostamento verso destra degli equilibri complessivi.
Giolitti portò l’Italia ad elezioni politiche anticipate il 15 maggio 1921 volendo indebolire la rappresentanza parlamentare del PSI, che si era da poco scissa al Congresso di Livorno, e con l’intento di ridimensionare anche la compagine del Partito Popolare Italiano.
Questo era un tentativo per riportare forza e unità ai gruppi liberali, democratici e «di ordine» e per questo disegno, Giolitti si spinse all’alleanza coi fascisti all’interno dei blocchi nazionali, contando di poterne poi normalizzare la violenza squadrista, mediante l’istituzionalizzazione nel sistema parlamentare.
Le elezioni non diedero però quello scossone che auspicava Giolitti e si innescò un periodo di grossa crisi interna e di necessario dialogo tra i principali partiti italiani che non seppero però leggere il momento ma soprattutto mettere argine alle drammatiche vicende che ne sarebbero scaturite.
Il 26 e 27 ottobre 1922 fu fissata la data della marcia su Roma da parte dei fascisti e in quei giorni, con il formale avvio delle attività, l’allora primo ministro in carica Luigi Facta dichiarò lo stato d’assedio che il Re Vittorio Emanuele III non controfirmò. Rifiutando un governo di coalizione con Salandra, il Re fu costretto a dare l’incarico a Benito Mussolini per formare il nuovo Governo.
Tra i primi atti, Mussolini esautorò le camere di una serie di funzioni che invece furono messe in capo al Governo e diede inizio ad una serie di provvedimenti per il sistema tributario e la riorganizzazione degli uffici pubblici in un’ottica di razionalizzazione della spesa pubblica.
Dal punto di vista istituzionale, fu radicale la posizione fascista con la soppressione dell’eleggibilità dei Consigli Comunali e quindi dei Sindaci che vennero sostituiti dai Podestà, nominati con decreto reale e subordinati ai Prefetti e con ulteriori provvedimenti successivi il fascismo abolì ogni forma di autonomia locale.
De Gasperi nel 1924 fu rieletto nel parlamento italiano con il sistema elettorale voluto dalla legge Acerbo, in un contesto in cui il Partito Popolare Italiano usciva tremendamente fiaccato dalla violenza fascista e dalle discussioni interne che avevano visto anche le dimissioni di Sturzo nel 1923. In questo drammatico e contingente quadro si scrive dalle pagine del Il Nuovo Trentino il 9 novembre 1924, riferendosi alle posizioni assunte dal Consiglio nazionale del Partito Popolare: “Noi popolari dall’aprile del 1923 per aver usato di rivendicare la nostra autonomia di partito e per aver richiesto, in una lealtà di collaborazione, un trattamento di uomini liberi, fummo messi alla porta e perseguitati… e ci sentiamo di essere al nostro posto di battaglia e di avanguardia. Sappiamo di aver noi iniziata la marcia dell'isolamento e, mentre un anno e mezzo fa eravamo soli e dispettati e il nostro richiamo alla libertà non trovava echi, ma produceva invece dissensi fra i parassiti annidatisi nelle nostre fila, oggi constatiamo che i tempi ci hanno dato ragione. Luigi Sturzo, che a Torino ci avviò con parola accorata ma decisa alla battaglia, vide nell'avvenire e fu un precursore coraggioso e disinteressato. Per questo forse oggi è lontano, ma non assente, perché mai come ora esso è vivo nella coscienza dei popolari d'Italia. La nostra opposizione all'attuale governo deve essere recisa e cioè senza tergiversazioni e al tempo stesso senza iattanze”.
Evidentemente con l’avvento del fascismo il ruolo di De Gasperi assunse caratteri completamente diversi anche sul tema della riflessione politica sull’Unione Europea; diventando un nemico dello Stato Italiano la sua vita vide un cambio radicale. Osteggiato dal Governo di Mussolini e dopo una campagna denigratoria nei suoi confronti, nel 1926 si dimise dal giornale Il Nuovo Trentino e successivamente dalla segreteria del Partito Popolare per ritirarsi momentaneamente dalla vita politica, in cerca di una tutela soprattutto per la sua famiglia.
Purtroppo i fascisti continuarono nella loro opera di annichilimento degli avversari politici e anche De Gasperi fu tratto in arresto nel marzo del 1927 a Firenze e poi tradotto al carcere di Regina Coeli a Roma dove poi fu condannato in appello a 2 anni e 6 mesi di reclusione per delitto contro lo Stato.
De Gasperi iniziò quindi un percorso in carcere prima e alla clinica Ciancarelli di Roma poi, in cui ha il tempo di raccogliere i suoi pensieri e dedicarne di profondi ai suoi cari, tanto in sofferenza per lui. Insieme al percorso lavorativo che avvierà nel 1929 presso la Biblioteca Vaticana, quegli anni di isolamento e silenzio, De Gasperi cercherà di usarli per approfondire molti temi politici legati soprattutto a quale ruolo potesse avere in futuro il movimento democratico cristiano italiano ed europeo.
Nel periodo dal 1933 al 1938 De Gasperi si muove con cautela ma ritiene necessario riprendere i contatti con alcuni amici politici e soprattutto la penna e, con lo pseudonimo di Spectator, avvia una cronaca delle vicende politiche all’interno della rivista del Vaticano “Illustrazione Vaticana”. “Comincia in esse quasi inavvertitamente, ma in maniera sempre più lucida, a emergere la constatazione dell’esistenza di un’affinità tra le vicende dei singoli Stati europei, che non appaiono più nelle loro linee generali semplicemente <<nazionali>>, ma si risolvono in contrasti a livello europeo. Quanto simili le vicende tedesche a quelle italiane, a quelle austriache, a quelle francesi….”
Nell’Europa tra le due guerre si era quindi davanti ad un nazionalismo esasperato che non aveva nessuna visione sovranazionale o comunitaria. Allo stesso tempo questo modello governativo iniziava a mostrare i suoi grandi limiti e soprattutto le derive violente e antidemocratiche venivano in aiuto a quanti invece iniziavano profonde riflessioni sul federalismo internazionale e a sostenere con forza, come De Gasperi, la necessità della costituzione degli Stati Uniti d’Europa.
Enrico Galvan