Il 20 gennaio 1977, a soli 55 anni di età, si spegneva per malattia lo statista Francesco Fabbri, nato il 15 agosto 1921 a Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso): egli era allora Ministro della Marina Mercantile in carica nel terzo governo Andreotti.                                                                                                                                                

Un ricordo che non muore mai

Che cosa dire, oggi, di Francescoi Fabbri, che possa essere memoria feconda e insieme riferimento importante per il presente e il futuro della nostra comunità civile? Innanzitutto, serve proprio l’impegno a ricordare, con la memoria che lo scrittore Alessandro D’Avenia interpreta come la vittoria della vita sul tempo. Coloro che non sono più tra noi vivono soltanto nel momento in cui li ricordiamo, altrimenti rischiano di morire per sempre nell’oblio colpevole di chi non riconosce onore e non riserva gratitudine per quello che è stato.

Francesco Fabbri, per parte sua, non è mai stato dimenticato e continua ad essere compianto ma, soprattutto, rimpianto. Vive nel commosso ricordo di chi gli è stato amico nella vita politica, che ha imposto il nome di Francesco o Francesca ai figli in onore a Fabbri, che lo volle partecipe di importanti vicende familiari, che ha ancora la sua fotografia esposta in casa insieme a quelle degli affetti più cari.

E nella memoria riconoscente di tutti coloro che hanno voluto anche di recente convegni e pubblicazioni, e l’intitolazione del nuovo palazzetto dello sport di Pieve di Soligo proprio a Francesco Fabbri, a lui dedicando una struttura polivalente che dal maggio 2023 si chiama ufficialmente PalaFabbri.

Tutto conferma che il ricordo è vivissimo in tante generazioni della Marca Trevigiana, e non solo, sempre alimentato del resto in tutti gli anni seguiti al tristissimo 1977, e che la profonda riconoscenza per la figura e l’opera esemplare di Francesco Fabbri si è come tramutata in un sentimento di nostalgia e di ammirazione senza tempo, quasi in un sentire laico di devozione per uno statista che ha manifestato in concreto il senso autentico del servizio disinteressato a lungimirante alla società e alle istituzioni.                                                                                                             

Un grande politico cristianamente ispirato, nella società e nelle istituzioni

Prigioniero nei lager nazisti durante la Seconda guerra mondiale, l’allora sottotenente di artiglieria alpina Francesco Fabbri aveva maturato la sua decisione di dedicarsi al servizio politico, ispirato ai più alti valori umani e cristiani.  Già sindaco di Pieve di Soligo e vicepresidente della Provincia di Treviso, deputato e senatore, Fabbri aveva rivestito l'incarico di Sottosegretario di Stato al Tesoro nel secondo governo Andreotti  nel 1972, e quindi nel quarto e quinto governo Rumor e nel quarto e quinto Governo Moro, prima di diventare Ministro della Marina Mercantile nel luglio 1976.

Insegnante elementare, direttore didattico, laurea in scienze agrarie, giovanissimo in Azione Cattolica e poi nei Maestri Cattolici, dirigente della Cisl sindacato scuola, impegnato per le Comunità Emigranti con la rivista Il Campanile, presidente dell’ospedale civile Balbi Valier, membro del collegio sindacale in Banca Piva e consigliere nazionale UNCEM, Francesco Fabbri stabilì e coltivò sempre relazioni profonde con il territorio di Marca in tutte le dimensioni sociali, economiche e istituzionali.

Basti citare, per tutte,  la fondazione del Consorzio BIM Piave Treviso per l’avvio dell’opera di metanizzazione, con straordinaria intraprendenza e lungimiranza, insieme a molti altri incarichi e attività nell’ambito della cooperazione e delle realtà consortili.                         

Egli fu infatti tra i fondatori dell’Associazione dei Comuni della Marca Trevigiana, tra gli iniziatori e poi presidente della Cantina Sociale Colli del Soligo, e anche dirigente e presidente della Federazione Provinciale delle Cooperative Mutue di Treviso.                                                                                                

Un modello e un messaggio attuale, per servire il bene comune                                                         

La sua fu una vita spesa per la politica, di esempio per i giovani. Fabbri va ricordato per la saldezza dei suoi valori e per la rettitudine dimostrata in tutto il suo percorso. Animato da profonda fede cristiana, egli aveva maturato proprio nei campi di concentramento la scelta definitiva e totale di impegnarsi per la libertà e la democrazia e di dedicarsi senza riserve alla politica come “forma esigente di carità” verso tutti, e in particolare verso i più bisognosi.

Nel pensiero e nell'azione competente, concreta e di amore alle persone e al territorio fu un vero leader democratico cristiano, allievo di fatto del grande economista e sociologo cattolico concittadino di Pieve di Soligo, Giuseppe Toniolo, come lui “riformatore sociale che prima di tutto è riformatore di se stesso”.       

Egli svolse tutti i ruoli istituzionali in una sintesi completa e vitale dei principi della sussidiarietà, del protagonismo dei corpi intermedi, della buona amministrazione, del rigoroso rispetto delle istituzioni. Oggi abbiamo nostalgia per Fabbri, dicevamo sopra, e per il suo sguardo lungo di statista che è artefice di sviluppo e pensa e agisce per le nuove generazioni. “Il reticolato nudo e spinoso s’è destato al sole d’aprile e ha germogliato il fiore della libertà”: così Francesco Fabbri il 13 aprile 1945 nel suo diario di guerra.

Oggi, a quasi 103 anni dalla nascita, a 47 anni dalla morte, la sua lezione è intatta, i suoi insegnamenti di straordinaria attualità: la sua fede nella libertà ci aiuta a rinnovare l’impegno per il bene comune, a cercare di vincere l’assedio del reticolato delle gravi difficoltà del nostro tempo. Ecco Francesco Fabbri, un bene autentico che appartiene all’intera comunità, un simbolo vero di rinascita morale e civile per tutto il Paese.

 

 dr. Marco Zabotti

direttore scientifico Istituto diocesano Beato Toniolo,

già Consigliere Regionale del Veneto

 

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Francesco Fabbri

di Ivano Sartor

 

 

Dall’ultimo addio a Francesco Fabbri (1921-1977), deceduto da ministro in carica, sono trascorsi quasi cinquant’anni. Nella sua vita, pur non molto lunga, egli fu operoso in vari ambiti e fu in contatto con persone e personalità di differenti contesti sociali.

Una aggiornata biografia, condotta con metodologia scientifica, basata sulla documentazione e sullo studio del suo archivio e di tante altre fonti è stata edita nel 2018 a Treviso (ZeL Edizioni), arricchita dalla presentazione del senatore Franco Marini, presidente emerito del Senato e poi presentata nel Salone dei Trecento della città da Luciano Violante, già presidente della Camera dei Deputati, con una magistrale sua lezione, di fronte a un auditorio veramente numeroso.

Nei lavori storiografici finora condotti, al di là della progressione curricolare, è stato approfondito quale fu il pensiero del politico trevigiano, pressoché omesso nelle rapide biografie precedenti e nella memorialistica degli amici, i quali avevano preferito mettere in luce in prevalenza la concretezza dell’impegno fattivo di Fabbri.

La sua formazione umana e intellettuale, fin da giovane, non fu ininfluente e la lunga militanza iniziale nell’Azione Cattolica parrocchiale e diocesana rappresentò il palinsesto valoriale sul quale poi s’incardinarono i futuri impegni dell’uomo politico e dell’amministratore locale.

Furono quei valori, trasmessi dalla comunità cristiana, appresi in famiglia e nella sua parrocchia di Solighetto (Pieve di Soligo) ad aiutare Fabbri a superare le asprezze del campo di concentramento. Dopo la disfatta dell’esercito italiano dell’8 settembre 1943, da poco ritornato al suo Reparto in Grecia in seguito a una licenza premio, Fabbri venne infatti imprigionato dai tedeschi assieme al suo Reparto nei pressi di Salonicco e trasferito nei campi di concentramento in Polonia, a Bergen Belsen e successivamente in Germania, passando per quelli di Sìedlce, Sandbostel e Wietzendorf. In quei due terribili anni egli maturò la convinzione della doverosità dell’impegno per la società, per contribuire a evitare alle generazioni future simili tragedie.

Nel diario che Fabbri compilò (pubblicato postumo nel 2007, col titolo Diario di prigionia. Dai lager nazisti 1943-1945), con animo pieno di speranza per il futuro, come si addice a un cristiano rettamente formato, egli scriveva: «Noi non ci dobbiamo considerare relitti di nessun naufragio o macerie di nessuna rovina. I compiti che il destino ci affida per il domani sono ardui, per questi compiti è necessario che noi, con molta serietà e volontà, ci prepariamo moralmente e materialmente; in questo duro e difficile periodo della nostra vita, bisogna che prepariamo le nostre coscienze».

Da lì parte il suo impegno per la società, che adempì iniziando dal livello più prossimo, quello del suo paese e del suo Comune, diventando già nel 1946 consigliere comunale nelle prime elezioni democratiche dopo la chiusura del ventennio della dittatura fascista.

Nel frattempo, ritornato malconcio dall’internamento nazista, Fabbri che già insegnava nelle scuole elementari poté riprendere gli studi, laurearsi in Scienze Agrarie presso l’Ateneo di Bologna e successivamente, dopo aver vinto un concorso, diventare direttore didattico.

Iniziava così il suo percorso di civico amministratore: dal 1948 assessore di Pieve di Soligo, poi Sindaco dal 1953 al 1960, anno nel quale fu eletto in Provincia, ricevendo l’incarico di vicepresidente e di assessore ai Lavori Pubblici nel quadriennio 1960-1964.

Il suo non fu però un impegno tecnico, efficientista o genericamente di tipo civico, bensì politico. L’azione dell’amministrare doveva costituire il banco di prova concreto per dare attuazione ai valori e ai programmi che solo la politica poteva indirizzare nelle loro finalità; i valori ai quali si rifaceva Fabbri erano quelli del cattolicesimo democratico, allora incarnati nella formazione politica della Democrazia Cristiana e sintetizzati nei suoi programmi, tesi a trasformare la società italiana secondi i principi dell’equità sociale e della libertà.

Sulla concezione del partito al quale Fabbri aderiva, Antonio Mazzarolli, altro storico esponente DC della Marca Trevigiana, ha scritto che Fabbri «vedeva il partito come “movimento popolare” sulla tradi­zione di Sturzo, di De Gasperi, dei cattolici democratici».

Fondamentale per il futuro politico di Francesco Fabbri fu l’esperienza umanamente vicina alla gente di Sindaco di Pieve di Soligo. Le circostanze preliminari che portarono all’elezione di Francesco Fabbri alla carica di Sindaco sono state ricordate da Bruno Marton, che della DC trevigiana fu – si può dire – il fondatore. Narrava Marton: «Ricordo Francesco Fabbri non ancora completamente ristabilito nel suo fisico per le sofferenze patite nei lager tedeschi nel primo incontro a casa mia a Treviso. Eravamo nel 1952 e me lo presentò l’amico Luigi Cesca, allora Segretario della sezione D.C. di Pieve di Soligo. Vennero ad il­lustrarmi (ero allora Segretario Provinciale) la situazione un po’ confusa dell’Amministrazione Comunale di Pieve di Soligo della quale Fabbri fa­ceva parte.

Non parlammo del partito ma solo delle cose del Comune che aveva come Sindaco Antoniazzi. Lui, attento e critico, era preoccupato di un certo disordine e mi chiedeva un intervento per esaminare certe delibere e certi aspetti amministrativi, che se non chiariti subito potevano portare discredito all’Amministrazione. Gli chiesi se sarebbe stato disponibile per assumersi l’incarico di Sindaco. Mi rispose che la sua salute, l’impegno di studio (era maestro elementare e voleva arrivare alla laurea in agraria come difatti arrivò) non glielo permettevano. Più tardi accettò e fu Sindaco di Pieve di Soligo».

Quanto al percorso politico di Fabbri nella Democrazia Cristiana, da militante a dirigente, anch’esso partì dal suo paese, dove si era iscritto al partito fin dal ’45. Dopo breve tempo gli fu richiesto anche di impegnarsi a livello provinciale, dove lo si ritrova protagonista fin dal congresso provinciale del 1954.

Fu quello l’inizio di una presenza più ampia dell’uomo politico, passando dal livello locale alla dimensione politica provinciale.

In quegli anni Fabbri era posizionato all’interno della DC con la componente maggioritaria, quella venutasi formando dopo la Liberazione, sull’asse di personalità come Bruno Marton, Agostino Pavan e Domenico Sartor. In quell’assise Fabbri fu tra i più votati, ottenendo 7.000 voti; subito dopo venne designato nella Giunta Esecutiva Provinciale del partito.

Non passò molto tempo e anche nel Trevigiano prese vita il gruppo di Nuove Cronache di Fanfani, allora su posizioni politico-sociali più avanzate rispetto al corpo centrista moderato del partito DC, puntando sull’allargamento del Governo verso il Centro-Sinistra; Fabbri ne fu uno dei principali fondatori e leader in ambito trevigiano, assieme a Toni Mazzarolli, Dina Orsi e Mario Ulliana.

Da qui Fabbri proseguì in una stagione d’impegno politico che lo vide compartecipe della vita di partito anche a livelli superiori, dal Comitato Regionale veneto al Consiglio Nazionale DC, mentre a livello provinciale nel 1973 gli fu affidato il massimo incarico, quello di Segretario Provinciale, anche se per un breve periodo, consegnandogli così un ruolo-ponte, al fine di trovare una ricomposizione il più possibile unitaria nella conduzione del partito. Infatti, tutti gli riconoscevano le doti della disponibilità al dialogo aperto con tutti e una spiccata capacità di mediazione.

Il ruolo politicamente e amministrativamente rilevante svolto da Francesco Fabbri nel Trevigiano nel corso degli anni ’50 (oltre agli incarichi citati, tra gli altri va ricordato anche quello nell’Associazione dei Comuni della Marca Trevigiana, della quale nel 1955 fu co-fondatore e vicepresidente fino al 1957) concorse negli anni seguenti a portarlo in Parlamento.

Forse effettivamente eletto alla Camera già nel 1958, quando un probabile “aggiustamento” elettorale a livello di Cassazione smentì l’elezione precedentemente annunciata, egli ottenne finalmente l’elezione certa a deputato nel 1963.

A Montecitorio divenne membro della Commissione Bilancio e Partecipazioni Statali, nonché presidente dell’importante Comitato Permanente per il Controllo Finanziario e fu ripetutamente relatore generale del bilancio e sui rendiconti generali dello Stato per gli esercizi finanziari dal 1959 al 1966. In tale veste svolse un lavoro impegnativo, caratterizzato da puntualità, competenza e complessità di dati. Nel 1968 fu nominato presidente del Comitato Pareri sulla Spesa Pubbli­ca e Contabilità Pubbliche. L’argomento del dovere di tenere in ordine i conti pubblici fu una costante nell’azione politica di Fabbri. Il quotidiano DC Il Popolo del 16 febbraio 1974, in un articolo dedicato al dibattito sul bilancio alla Camera intitolato Preoccupante aumento dei debiti dei comuni, segnalava che il debito degli Enti Locali aveva superato i 18.000 miliardi di lire, rappresentando così una delle principali cause dell’inflazione; e aggiungeva nel sottotitolo: «Il sottosegretario al Tesoro, Fabbri, ha dichiarato che la gravissima situazione richiede un intervento del Governo».

Nelle prime sue legislature, Fabbri si dedicò intensamente e con puntualità all’attività parlamentare e legislativa, interessandosi alle varie problematiche, in modo particolare al ruolo degli enti locali, all’istruzione pubblica, alla politica agraria e al personale insegnante; non si contano i suoi interventi in commissione e in aula, così come le interrogazioni e le interpellanze. Scontata, quindi, la rielezione nelle votazioni politiche del 1968, 1972 e 1976, anno nel quale passò al Senato.

Allora si veniva eletti raccogliendo il consenso mediante le preferenze espresse dagli elettori nella scheda.

Il successo elettorale ottenuto da Francesco Fabbri era dovuto al suo essere vicino alle istanze e alle esigenze della gente e degli operatori socio-economici.

La sua forza elettorale veniva conquistata con un impegno diuturno, instancabile, umile, che tutti gli riconoscevano come una sua speciale capacità. La pratica delle cosiddette “raccomandazioni”, allora molto in voga, sollevava dei quesiti di liceità e degli interrogativi di ordine etico, che se da un lato possono essere mossi da un argomentare insipido come “voto di scambio” (e cos’è il consenso, se non voto di scambio, magari di scambio di qualificata significanza, e non necessariamente utilitaristica?), dall’altro evidenziano quesiti fondati sul rispetto della giustizia di trattamento tra tutti i cittadini. Una possibile risposta, utile al comportamento eticamente fondato in simili pratiche, si trova in una lettera autografa che il futuro papa Albino Luciani, allora vescovo di Vittorio Veneto, scrisse proprio a Francesco Fabbri nel novembre del 1966, a sostegno di un preside che avrebbe affrontato un colloquio ministeriale; in essa mons. Luciani tracciò i confini della liceità di tale pratica, scrivendo: «Scusi; intervenire e fare pressioni è cosa delicata, specialmente nei confronti di terzi, che forse hanno più merito. Lo faccia, ripeto, solo se può e se la cosa non danneggia direttamente alcuno».

Fabbri si impegnò fortemente anche nel sociale, dapprima come sindacalista CISL nella categoria del Sinascel; fu attivissimo pure nel terzo settore, come fondatore di consorzi e cooperative nel settore agricolo (oltre al Consorzio Bim Piave, egli fu co-fondatore nel 1957 e primo presidente della Cantina Sociale “Colli del Soligo”; in un ambito contiguo, egli fu fondatore e presidente del Consorzio fra le Cantine Sociali della Marca Trevigiana), per cui dal 1966 fu a lui affidato l’incarico di vicepresidente (e poi dal ’71 di presidente) della Federazione Provinciale Cooperative e Mutue di Treviso. Interessante anche la circostanza che fin dal ’54 egli avviò un’associazione solighese per tenere i collegamenti con gli emigrati all’estero. Ma l’opera principale alla quale resta legato il nome di Francesco Fabbri è stata la fondazione del BIM-PIAVE (il Consorzio del Bacino Imbrifero Montano del Piave), del quale fu il principale promotore fin dal 1957, costituito per dare attuazione alla legge nazionale n. 959 del 27 dicembre 1953, allo scopo di gestire il fondo comune determinato dai sovracanoni versati dalle società idroelettriche per lo sfruttamento delle acque; le risorse dovevano essere indirizzate verso l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, intese a favorire lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni interessate.

Fabbri è stato costantemente vicino agli amministratori locali, Sindaci e assessori, i quali si rivolgevano a lui per l’adempimento delle pratiche a livello romano, soprattutto quelle per la ricerca dei finanziamenti a beneficio delle comunità trevigiane; con eguale solerzia Fabbri seguì nel loro complicato iter burocratico migliaia di istanze che gli venivano rivolte da una molteplicità di semplici cittadini.

In definitiva, la sua forza elettorale veniva conquistata con un impegno diuturno, instancabile, umile, che tutti gli riconoscevano come una sua speciale capacità.

Nel periodo che porterà la Democrazia Cristiana ad aprirsi verso collaborazioni politiche di centro-sinistra per coinvolgere nel governo del Paese le forze politiche progressiste, anche il pensiero di Fabbri dimostrava una sensibilità coerente con l’evolversi dei tempi, tra una Chiesa ormai avviata verso le aperture conciliari e un partito dei cattolici italiani ormai affidato alla gestione di uomini aperti come Moro e Fanfani. Scriveva, infatti, nel 1962: «I tempi corrono veloci, i lustri con la fretta degli anni, i secoli con il ritmo dei decenni; chi ha responsabilità pubbliche ha doveri e com­piti di estrema difficoltà. Si tratta di non farsi rimorchiare da un progres­so che se rimaniamo elementi passivi ci risucchierebbe ai margini del corso degli eventi, si tratta di guardare avanti con lucida chiarezza per essere forze determinanti di uno sviluppo da indirizzarsi ordinatamente verso obbiettivi prestabiliti».

Fu per i meriti dimostrati dalla serietà e competenza d’impegno parlamentare che nel 1972 Fabbri ottenne la nomina a Sottosegretario di Stato al Tesoro nel secondo Governo Andreotti, una compagine nella quale il collegio elettorale di Treviso-Venezia esprimeva anche un ministro, Mario Ferrari Aggradi, con l’incarico delle Partecipazioni Statali. Fu una stagione di significativo rilievo per i politici democristiani della Marca, poiché in quello stesso periodo l’avvocato opitergino Pietro Feltrin veniva eletto presidente della Giunta Regionale del Veneto, in seguito alle dimissioni di Angelo Tomelleri.

Negli anni successivi Francesco Fabbri fu confermato al Dicastero del Tesoro, ottenendo l’apprezzamento dei Presidenti del Consiglio Rumor e Moro, oltre a quello dei ministri di competenza, esponenti politici di grosso calibro quali erano i leader dei Liberali e dei Repubblicani Giovanni Malagodi e Ugo La Malfa, nonché il futuro Presidente del Consiglio Emilio Colombo.

Nei diversi incarichi parlamentari e in particolare in quelli governativi, il politico veneto dimostrò profonda conoscenza sui problemi della Finanza Locale, in particolare di Comuni e Province, enti ai quali prestò un efficace sostegno anche in sede legislativa.

Il percorso politico-istituzionale dell’esponente solighese raggiunse l’apice nel luglio 1976, con la sua nomina a ministro della Marina Mercantile nel nuovo Governo Andreotti.

In quell’estate del ’76 si verificò la straordinaria circostanza di avere in contemporanea al Governo due ministri trevigiani, Fabbri e Tina Anselmi; un fatto che di per sé rappresentava un’eccezionalità, in quanto si trattava di un’indubbia anomalia l’avere nello stesso Governo due personalità di una provincia tutto sommato modesta e periferica. Indubbiamente le qualità umane e le doti di preparazione, magari congiunte agli equilibri di potere interni al partito di maggioranza, ebbero premio su logiche esclusivamente territoriali.

La rapida conclusione della vicenda esistenziale di Francesco Fabbri, giunta al suo epilogo il 20 gennaio 1977, dopo una breve malattia protrattasi appena per cinquanta giorni dal manifestarsi del male, non consentono di capire quale sarebbe stata l’evoluzione di questo itinerario politico e umano.

Sabato 22 gennaio 1977 la capitale politica del Paese si spostò, per un giorno, da Roma a Pieve di Soligo: per le esequie del ministro della Marina Mercantile Francesco Fabbri convennero nella località trevigiana le massime cariche istituzionali d’Italia. Nel duomo della cittadina, noto per raccogliere le spoglie del beato Giuseppe Toniolo, il sociologo che ha elaborato la dottrina sociale alla quale si ispirano i cristiani impegnati in politica, erano presenti il presidente del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti, due ex presidenti del Consiglio come Emilio Colombo e Mariano Rumor, il presidente del Senato Amintore Fanfani, ben sette ministri (Tina Anselmi, Costante Degan, Toni Bisaglia, Luciano Dal Falco, Vito Lattanzio, Franco Maria Malfatti, Filippo Maria Pandolfi, Attilio Ruffini), sei sottosegretari; Flaminio Piccoli fu presente in veste di presidente del Gruppo parlamentare DC. Parteciparono inoltre tantissime autorità di livello regionale veneto e friulano, oltre a rappresentanti di vari enti e, naturalmente, una folla di sindaci, amministratori pubblici e di gente comune.

L’elencazione di personalità tanto rilevanti nella politica nazionale dà conto del ruolo altrettanto importante che Francesco Fabbri aveva rivestito nel trentennio del suo impegno pubblico.

Il ricordo dell’esponente politico è ancora diffusissimo nel territorio trevigiano e veneto. Rimane certo il fatto che probabilmente il grande e tenace lavoro di Francesco Fabbri non sia mai stato dimenticato, poiché sono ancor oggi vitali le associazioni, le cooperative, i consorzi che egli fondò e governò, alle quali si è aggiunta una “Fondazione Francesco Fabbri”, con sede a Pieve di Soligo, che non solo rinnova la memoria sul celebre politico, ma s’impegna ad attuare nel presente dei programmi sociali e culturali aperti al dinamismo delle nuove generazioni.