Franco Maria Malfatti nacque il 13 giugno 1927 a Roma dove morì il 10 dicembre 1991. Le onoranze funebri si celebrarono nella Chiesa del Gesù, proprio davanti al palazzetto sede della direzione nazionale della Democrazia cristiana di cui aveva fatto parte, ininterrottamente, per circa quaranta anni. L'orazione funebre fu tenuta da Arnaldo Forlani.

La partecipazione alle esequie del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga era stata anticipata da un messaggio di cordoglio ai familiari e a Arnaldo Forlani: "..Ho appreso con animo rattristato la dolorosa notizia dell'improvvisa scomparsa di Franco Maria Malfatti, capo della segreteria politica della Democrazia cristiana. Con lui il Paese, il Parlamento ed il partito perdono un costante punto di riferimento di grande rigore morale e di altissimo ingegno, che gli valsero unanime apprezzamento non meno che la sincera, saldissima amicizia di tutti coloro, tra i quali mi onoro di annoverarmi, che condivisero con lui anni di fraterna e proficua consuetudine intellettuale ed umana. Egli seppe indirizzare la sua appassionata militanza politica, ispirata a una forte e consapevole adesione ai più alti valori cristiani e civili, all'ideale del liberalismo democratico e a una coerente dedizione al partito, nel senso di un severo e convinto impegno al servizio del Paese e delle istituzioni, che illustrò attraverso la sua opera di parlamentare e di ministro della Repubblica, al cui alto ufficio venne più volte chiamato..".

La commossa e inusuale densità anche umana, del messaggio presidenziale dava conto dello straordinario spessore intellettuale, etico e politico di un personaggio che aveva attraversato, con ruoli di altissime responsabilità, quaranta anni di storia repubblicana senza indulgere a protagonismi , attento e rigoroso nella gestione del potere, inteso come servizio agli altri da esercitare con mite umiltà e discrezione. Come ben sanno e sperimentato gli elettori del suo collegio elettorale, in particolare i sabini (ma non solo!) che addirittura hanno creato una fondazione, ricca di iniziative per manifestare la loro gratitudine a un parlamentare che non aveva mai dimenticato di ascoltare i propri elettori.

Franco Maria Malfatti aveva raccolto l'invito di Giuseppe Dossetti, che ne aveva intuito le grandi qualità, a collaborare a "Cronache sociali", periodico che dal 1947 era diventato fulcro di un vivace dibattito nel mondo cattolico alla ricerca di progetti per la nuova società svincolati dai retaggi del passato e da proiettare in un futuro tutto da costruire. Così Dossetti selezionava e preparava giovani che avrebbero dovuto formare la nuova classe dirigente e Malfatti si trovò a respirare l'aria impegnata, vivace e talora divertente, della comunità del Porcellino con "professorini "del calibro e del carattere di Giuseppe

Lazzati, Amintore Fanfani, Giorgio La Pira e, naturalmente, lo stesso Dossetti. A quei giovani i "professorini" richiedevano di studiare i problemi, legarli alla realtà, quantificare le risorse a disposizione, i tempi di realizzazione. Solo dopo questa complessa analisi era lecito passare alla proposta operativa secondo una scala di priorità che doveva privilegiare i bisogni delle fasce di popolazione più vulnerabili. Nell'Italia devastata dalla guerra la politica non poteva permettersi improvvisazioni. Le risorse erano poche e dovevano essere utilizzate nella maniera più efficace.

Dossetti nel 1951 rinunciò alla sua avventura politica scegliendo la vocazione monastica. “Cronache sociali" chiuse e, su quella esperienza nacque "Nuove Cronache" diretto da Amintore Fanfani che diventò la palestra, insieme ad altri periodici come "Per l'Azione ", in cui Malfatti e altri giovani di grande talento si confronteranno nella fervida ricerca di coniugare la libertà con la responsabilità, la democrazia con la partecipazione, la dignità del lavoro e la giustizia sociale, gli Stati Uniti D'Europa e il patto atlantico come scelta di civiltà e di pace.

Nel 1957 Malfatti fu nominato dirigente nazionale della SPES e, in quella veste, varò il manifesto il cui slogan " Progresso senza avventure" avrebbe ispirato anche molte campagne elettorali successive perché coglieva nel profondo le speranze del grande popolo democristiano.

Nel 1958 (terza legislatura repubblicana) Malfatti venne eletto in Parlamento (circoscrizione Perugia-Terni-Rieti) dove rimase fino alla sua scomparsa. Nel gruppo parlamentare della Democrazia cristiana vigeva la regola che i deputati di prima legislatura non potevano candidarsi a cariche di Governo. Prima dovevano dare buona prova nel loro incarico parlamentare. Sicché Malfatti ebbe il suo primo incarico di Governo (Sottosegretario di Stato al Ministero dell'industria, del Commercio e dell'Artigianato) nella quarta legislatura, rimanendo poi ininterrottamente nel Governo con incarichi di crescente importanza (Ministro della pubblica istruzione ,delle Finanze, delle Poste, delle Partecipazioni statali, degli Esteri) senza che mai, neppure un'ombra, sfiorasse il suo operato.

Nel 1974 da Ministro della pubblica istruzione intervenne con i decreti delegati
(DD) per porre ordine e un argine alle contrapposizioni ideologiche che devastavano la scuola. L'onda lunga del '68, le rivendicazioni salariali, la stagione del terrorismo che non accennava a placarsi rendevano la materia incandescente. I DD, come allora si chiamarono, vennero criticati da destra e da sinistra con mugugni anche al centro, ma rappresentarono un solido e pragmatico punto di equilibrio, ovviamente perfettibile, che spezzò un sistema chiuso, selettivo e verticistico per aprirsi alle istanze di democratizzazione e di partecipazione.

Le elezioni per gli organi collegiali si risolsero con un successo del movimento studentesco di comunione e liberazione che relegò, quasi ovunque, in minoranza le tesi vocianti, confusionarie e meramente agitatorie di una certa sinistra più scioperaiola che propositiva. A cinquanta anni di distanza da quei decreti, uno studioso dei problemi scolastici Enrico Nistri ( in beemagazine. it) ha concluso il suo saggio di raffronto con la situazione odierna con queste parole: “I DD saranno stati anche "malfatti", ma scaturivano pur sempre da una visione alta della scuola che, al giorno d'oggi, sembra a volte, irrimediabilmente smarrita.

Nei giorni più bui della storia della nostra Repubblica quelli segnati dal rapimento di Aldo Moro e dell'uccisione della sua scorta, Malfatti era Ministro delle finanze e, in quanto tale, partecipava alle riunioni del Comitato tecnico-operativo preposto alla gestione della crisi. Si parlò di supposte lettere a lui indirizzate, peraltro mai rese pubbliche dalle Brigate rosse né pervenute al destinatario di cui era nota l'assoluta affidabilità unita a un senso di grande e rispettoso riserbo istituzionale.

Sicché, se la questione delle lettere forse mai scritte e, comunque, mai pervenute non ha convinto tutti (sembra che l'unico punto sul quale si è raggiunto l'unanimità sia la morte del rapito!) è, invece, probabile che Malfatti abbia concorso alla tessitura della delicatissima trama dei rapporti che portò il Presidente del Senato Amintore Fanfani a valutare la possibilità di un estremo tentativo per salvare la vita dell'on. Moro.

Il tentativo fanfaniano che recuperava un principio fondante della Democrazia cristiana ("al centro la persona non lo Stato") si infranse, in quel drammatico 9 maggio 1978. sabotata dalla feroce violenza che trasformò il corpo martoriato del Presidente della DC in un martire della democrazia e della libertà. Perché le Brigate rosse scelsero con quel gesto di odio insensato di suicidarsi politicamente è ormai materia per gli storici che verranno.

Appartiene invece all'attualità il discorso che Malfatti, Presidente della commissione europea, pronunciò il 22 gennaio 1972 al Castello di Egmont, in occasione della storica adesione al Trattato della Gran Bretagna, della Danimarca e dell'Irlanda. Per la prima volta si andava oltre i confini dei Paesi fondatori. Un piccolo passo, ma un sogno per l’europeisti di ogni colore. Si concludeva una trattativa difficilissima in cui il ruolo del Presidente Malfatti era emerso in tutto il suo vigore nella fermezza con cui aveva inteso aprire la Commissione europea ad una visione politica che accelerasse i processi verso una Europa sempre più solidale e unita.

Non si aspettava il Presidente francese Pompidou, più incline al freno che alle accelerazioni quando si parlava di processi unitari da perseguire, sia pure con prudente tenacia, la risposta ferma del giovane Presidente italiano: “Se volevate un tecnocrate avete sbagliato a scegliere la mia persona!" Gli studi recenti tendono ad apprezzare il ruolo complicato, ma positivo dell'esperienza di Malfatti al vertice della Commissione europea che era stato appannato dalla decisione di dimettersi due mesi prima della scadenza naturale del mandato per poter partecipare alle elezioni politiche anticipate che si sarebbero tenute in Italia.

Le vestali di una Europa ferma e conservatrice espressero la loro puzza sotto il naso. Ironia della sorte i partiti di opposizione, che avevano votato sempre contro i Trattati si scandalizzarono. Ma i tempi lunghi della storia servono a distinguere il grano da loglio. E così oggi possiamo apprezzare la visione anticipatrice del discorso di Egmont alla ricerca del tempo perduto in tante miopi liti condominiali (leggi: egoismi, nazionalismi, sovranismi e così via) di cui oggi la realtà ci presenta il conto. Aveva detto Malfatti all'augusto uditorio:"Dobbiamo essere realisti, ma non per frenare la nostra immaginazione; dobbiamo essere pragmatici, ma non per limitare la nostra impazienza; dobbiamo essere prudenti, ma non per indebolire il nostro coraggio".

Parole chiave di una scuola lontana, quella della comunità del "Porcellino”, e, in qualche modo, un autoritratto del Presidente Malfatti che così proseguiva: "Uniti noi avremo la possibilità di scrivere una nuova pagina di storia, di essere un fattore importante di libertà, di sicurezza, di pace, di progresso nel mondo. Divisi noi potremo essere spettatori dello sviluppo della storia".

Frasi pronunciate 52 anni fa, ma che conservano drammaticamente intatta la loro attualità.

Hubert Corsi