In realtà, l’elettorato italiano di centro-destra, quando e come non si può sapere, si ritroverà di fronte alla scelta di sempre: “il meno peggio”, “purché non sia comunista” e “il meno peggio” non è sinonimo di garanzia del buon governo.
C’è, però, la necessità di dare un cambio ai vertici della politica, malgrado i limiti che impone lo straboccare di una Presidenza della Repubblica, espressione del partito Democratico, che, da Napolitano a Mattarella, a conti fatti, potrebbe imporre i suoi governi per 23 anni: di più, cioè, di quanto governò Benito Mussolini, ma soggetto al sovrano!
Quattro mandati di fila allo stesso partito hanno fatto del Quirinale e della sua funzione super partes, di tutela della Costituzione e della democrazia, una istituzione di parte e questo si è tradotto, in primis, nella politicizzazione della Magistratura, quindi, nella perdita della divisione fra i Poteri Legislativo, Esecutivo e Funzione Giurisdizionale. Già così, una eversione.
In secundis, nella perdita dell’Autonomia e della Indipendenza della Magistratura: Altra eversione, anche se un noto costituzionalista, celebrando gli 800 anni dell’ateneo patavino, ha sostenuto che potere Legislativo e Potere Esecutivo sono una sola cosa. Né poteva essere diversamente, visto come i costituzionalisti hanno fatto da scudo ai principi della Carta.
Solo per stizza: Nel Potere Legislativo partecipano e dialogano la maggioranza, le minoranze e l’opposizione; nel potere Esecutivo il Potere Esecutivo, il Governo è solo. Se si voleva giustificare la messa in secondo piano del Parlamento da parte dell’attuale Governo, diremmo , alla veneta, che “el tacon l’se stà peso del buso.”
Com’era logico attendersi, quattro mandati a uomini del Partito Democratico hanno dato alla Nazione un’impronta non democratica assolutamente e questo fatto è innegabile quando si consideri che l’ultimo Governo, espressione del voto popolare, ha rassegnato le dimissioni il 16 novembre 2011. Da allora, soltanto governi del Presidente e con i risultati che, purtroppo, subiamo.
Questo, accomuna gran parte dell’elettorato nell’aspettativa di dare la parola alle urne. Impossibile, non considerare come in questi 17 anni di presidenza del PD, le cosiddette cessioni di sovranità all’Unione europea hanno sovvertito i fondamentali principi della Costituzione della Repubblica fondata sul Lavoro: come il Padre costituente Aldo Moro volle che fosse scolpito nell’Articolo 1.
Solo per inciso, notiamo che identico principio era enunciato nell’Art. 9 della Costituzione approvata da Mussolini per la Repubblica Sociale Italiana e, questo, perché siamo e saremo sempre un popolo di lavoratori. Abbiamo richiamato le “cosiddette cessioni di sovranità all’Unione europea”, significando che questa sorta di associazione, rectius, di anomalia istituzionale non è una istituzione sovrana, talché non di cessione si deve parlare, ma di rinuncia e sappiamo a quale teoria del controllo dell’umanità e dei popoli può essere riferita.
L’aspettativa deve, perciò, fare i conti con quel potere straniero, mondiale, che, di fatto, governa l’Italia attraverso suoi adepti (traditori di impegni solennemente assunti, senza alcun dubbio) e ci siamo chiesti: perché? e a quale fine?
Ci sono alcune considerazioni di varia natura intorno alla politica italiana: alcune riguardano l’indipendenza e rappresentano il retaggio della storia dell’unità, altre, si fanno risalire alla Resistenza e, forse, prima ancora e riguardano la presenza di una forte componente, ieri, comunista e, oggi, populista.
È certo che la scelta del Savoia di aprire la strada del governo al Partito Nazionale Fascista sia stata dettata, in parte, dalla necessità di affidare ad un governo forte la riconversione a scopi civili dell’apparato industriale bellico, in una economia non più essenzialmente agricola; in parte, dal timore di un avvento del Comunismo facinoroso.
Ma lasciamo da parte il Comunismo, già ampiamente fallito per ragioni che discendono dalla natura stessa dell’Uomo; in ogni caso, si tratta sempre di movimenti politici che si contrappongono alla razionalità e allo Stato, incapaci di costruire una società democratica e di governarla, se non con metodi dittatoriali.
L’annessione al Regno di Sardegna del Regno delle Due Sicilie, di cui il Borbone fu il primo sovrano col nome di Ferdinando I, fu il risultato di una conquista manu militari, cui seguirono una lotta partigiana etichettata come lotta al brigantaggio e la spoliazione di un nascente apparato industriale, di tutto rispetto (la prima nave a vapore britannica scese in mare tre anni dopo la prima nave a vapore napoletana).
L’Italia e gli italiani hanno preso coscienza di sé nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Non per nulla, è ai reduci del Piave, del Grappa, che il regno fascista dovette la spinta rinnovativa che caratterizzò l’Italia fino agli anni trenta.
La conquista della Roma papalina e il trasferimento della capitale il 3 febbraio 1871, fecero di Roma la capitale di due stati, con reciproche interferenze nella politica, sopratutto, da parte dello Stato della Città del Vaticano, la cui autonomia dipende molto dalla possibilità di condizionare lo Stato italiano. La Chiesa fa politica. Quando proclama i diritti umani, si pone a tutela dell’etica naturale; quando esprime la sua dottrina sociale non fa soltanto opera di cristianizzazione.
Gli interventi del Pontefice devono essere accettati e non possono considerarsi come interferenze esterne, del Vaticano, perché sono rivolti “a tutti gli uomini di buona volontà”. Questa fede condiziona la politica, ma, a un tempo stesso, la divide, rappresentando, per certi versi, una forza. Per altri versi, la divisività endemica degli italiani rappresenta un elemento di debolezza rispetto alle altre nazioni europee.
Questa divisività endemica degli italiani poggia ancora sul conflitto sociale e non ha trovato nemmeno nella democrazia il suo sistema ideale di governo perché le classi lavoratrici e i detentori della ricchezza non sono chiamati dalla politica ad unire le forze per il progresso di tutti. È utile citare i quasi 248 miliardi di euro, entro il 2032, del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), beninteso, se vengono rispettati tempi, investimenti e riforme.
Abbiamo, più o meno 4.300 miliardi di risparmio privato depositati nelle banche che fruttano, anzi, non fruttano interessi di nemmeno l’1%€. Non si è voluto, perché qualcuno non vuole, offrire ai risparmiatori un incentivo a investire il loro capitale con le garanzie che uno Stato può dare e la norma europea concederebbe il 2%.
La politica è prona agli interessi stranieri. Quanti si impegnano in politica, tendono a nascondere i veri interessi multiformi e i loro fini personali. La prova provata l’ha data il movimento di quelli che parlavano di voler “aggiustare il sistema”, e cercare di farlo funzionare in un modo decente; ma era una truffa e la vera gara, fin da subito, era per essere anche loro stritolati nelle pieghe (chiamiamole piaghe) del potere.
“La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre finora sperimentate” disse Churchill, ma è l’unica che consente a tutti di essere un qualcuno e non solo un numero (purché sia esercitata correttamente, però). È difficile accettare che gli italiani, forti di secoli di storia e della dottrina sociale della Chiesa, non siano in grado di stare alla pari con le altre nazioni europee. Tirando le somme, in Italia hanno fallito la monarchia costituzionale, la dittatura e la democrazia.
Oggi, siamo in vendita e il capitalismo fa affari in casa nostra, sulle nostre spalle, prima di tutto su quelle del popolo lavoratore. Da un autore, ci sovviene una famosa citazione di Keynes: “Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi”.
I leader dei partiti di destra chiedono il giudizio delle urne. La Costituzione lo imporrebbe dal momento che nel Parlamento vediamo persone di cui pochi ricordano il nome e il partito con cui furono eletti; ma il popolo italiano, chiunque esca eletto dalle urne, non è più in grado di decidere per sè stesso e, al momento, non abbiamo alternative migliori.
A Sinistra, il nulla. A Destra? C’era una volta il Centro e ci sarebbe, ma deve guardare al domani.
Evidentemente, la Costituzione è ricca di sacri principi, ma non di norme che li tutelino e ne garantiscano l’attuazione. Peggio, molto peggio, i trattati europei, che antepongono la competitività sui mercati mondiali ai diritti dei lavoratori.
Quid iuris? Auspicherei una riduzione del potere pubblico, una Costituzione nazionale con pochi principi, ma solidi e tutelati, una Costituzione per l’Europa federata, fondata sulla radice cristiana.
Mario Donnini