Da “osservatore non partecipante” ho letto con molta attenzione gli interventi nel consiglio nazionale della DC del 26 ottobre scorso, tenendo presente che le mie dimissioni dagli incarichi di partito non annullano la mia condizione di “democristiano non pentito” che cercherò di mantenere sino alla fine.
Avevo inviato una nota alla vigilia del consiglio nazionale, pubblicata con grande onestà intellettuale da Mons. Stenico su Il Popolo,(**) con la quale rilevavo la necessità di restare al centro della politica italiana: alternativi alla destra nazionalista e sovranista e distinti e distanti dalla sinistra alla ricerca della propria identità.
Avevo ricevuto una telefonata dall’amico Grassi al quale avevo espresso questa mia indicazione che, onestamente, ritrovo espressa anche nella sua relazione. Diverso il tono e le argomentazioni sostenute dall’amico Gubert, chiuse nella necessità di costruire il soggetto politico coerente alle indicazioni di valore proprie della dottrina sociale cristiana, soprattutto con riferimento ai “valori non negoziabili”.
Credo che su questa strada integralistica la prospettiva degli ultimi mohicani della DC sarebbe molto debole e minoritaria, tale da non considerare gli errori e le insufficienze riscontrate da quel 2012, anno nel quale tentammo di ridare pratica attuazione alla sentenza della suprema corte di Cassazione n, 25999 del 23.12.2010, secondo cui: la DC non è mai stata sciolta giuridicamente.
L’amico Gubert dovrebbe prendere atto che, dopo dieci anni e la lunga Demodissea che ho tentato di ricostruire nel mio ultimo libro: Demodissea: la DC nella lunga stagione della diaspora democristiana (1993-2020), edizioni il Mio Libro, ha segnato una serie di fallimenti acuitisi dopo l’ultimo congresso del 2018 che, anziché concorrere alla ricomposizione ha dovuto sperimentare ulteriori rotture e divisioni che fanno salire a quasi due mani il numero delle DC che, a diverso titolo, si rifanno alla DC storica, quella che ha cessato giuridicamente la sua vita nel 1992-93.
Consiglierei a Gubert la lettura del bel libro di Amarthya Sen: Globalizzazione e Libertà (ed. Mondadori 2003) nel quale l’autore descrive la parabola della ranocchia- kupamandika. Dai testi indiani sanscriti antichi: una ranocchia vive tutta la vita rinchiusa in un pozzo sospettosa di tutto ciò che accade fuori. Dal 500 a.C.: quattro testi sanscriti (Ganapatha- Hitopadesà- Prasamaraghava- Battikavya) esortano tutti a non comportarsi allo stesso modo della kupamandika.
La ranocchia aveva una “visione del mondo”, il suo mondo, ma era ovviamente circoscritta a quel piccolo pozzo. Se fosse prevalsa la visione della kupamandika, senza i necessari scambi interculturali, avremmo avuto una diversa e assai più limitata storia scientifica, economica e culturale dell’umanità.
Ecco io temo che questa visione, tutta incentrata su ciò che rimasto della DC che pensammo di ricomporre politicamente nel 2012 e che si è andata, invece, progressivamente, decomponendo, sia il vero limite della prospettiva politica indicata da Gubert.
Trovo, altresì, alquanto ingenerosa e insufficiente l’analisi di Grassi su quello che lui definisce ”l’esperienza tramontata” della Federazione Popolare dei DC.
Caro Renato, il limite di quel progetto avviato dall’amico Gargani insieme ad alcuni di noi, non è stato dovuto solo al venir meno dell’adesione di Cesa e Rotondi, ma anche della “tiepidezza” con cui molti dei nostri amici DC avevano accolto quell’iniziativa (***).
Da parte mia continuo, invece, a ritenere che proprio da quel tentativo avviato con una cinquantina di partiti, movimenti, associazioni della nostra area politico culturale si dovrebbe ripartire, certo con una DC confermata su questa strada dal prossimo congresso, con una rinnovata dirigenza come auspicato da Grassi nel suo intervento.
Nessuna velleità integralistica da nostalgica e anacronistica kupamandika, ma la netta determinazione nel voler occupare una posizione nel centro della politica italiana, insieme a quanti intendono concorrere alla costruzione del soggetto politico nuovo democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, atlantista, trans nazionale, alternativo alle destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità.
Un centro pronto a collaborare con quanti intendono difendere e attuare integralmente la nostra Costituzione repubblicana. Da “osservatore non partecipante”, anche proprio per le ragioni indicate da Grassi, ossia di favorire l’emergere di una nuova classe dirigente, non parteciperò al prossimo congresso nazionale, felice se da esso potrà derivare, con la nuova e più giovane dirigenza, la conferma di una linea centrale dei democratici cristiani di cui il Paese avrebbe bisogno.
Ettore Bonalberti